La storia di dono di Iundra e Muriel è una storia di valori trasmessi, di condivisione, di amore incondizionato per gli altri, ma soprattutto di grandi rivoluzioni che si compiono con piccoli gesti: oggi il plasma ancor più del sangue, è diventato un vero e proprio “farmaco salvavita”. Iundra e Muriel sono due gemelle di 29 anni, oltre a condividere il dna, condividono gli stessi valori: sono entrambe donatrici di plasma dell’ Avis. Puntualmente, ogni 90 giorni, si ritrovano alla Casa dei Donatori per donare il loro plasma e trascorrono insieme il momento della donazione. Muriel è microcitemica, l’emoglobina bassa non le permette di donare sangue.

Ma questo non l’ha fermata. Muriel non rinuncia al dono, non rinuncia all’ Avis: dona il suo plasma che, più del sangue, è oggi considerato un vero e proprio “farmaco salvavita”. Iundra, che invece potrebbe donare anche sangue, si sottopone alla plasmaferesi per fare compagnia alla sorella e affrontare insieme la donazione.

La plasmaferesi, rispetto alla donazione di sangue, richiede infatti un tempo più lungo, affinché il sangue sia separato dai globuli bianchi e venga messo nuovamente in circolo. Ma ciò sembra non crear loro alcun problema. Al contrario le gemelle sono contente di trascorrere insieme i 45 minuti di prelievo. Le lega anche questo gesto che ormai è diventato abituale, ma mai scontato, e nel quale si danno manforte a vicenda. Le gemelle scoprono molto presto di voler diventare donatrici. Durante quel periodo della vita in cui cerchi te stesso, ciò che vuoi essere e diventare e prendi esempio dalle persone di cui ti fidi, verso le quali provi affetto e stima e tendi ad imitarle.

Non sai ancora bene perché, ma credi nelle loro azioni, senti che agiscono bene e per il bene e spontaneamente le segui. La sorella maggiore di Iundra e Muriel diede inizio e forma alla sensibilità delle gemelle. Donava assiduamente, e trasmise loro il valore e l’importanza del dono. La sua dedizione appassionata suscitò nelle gemelle l’impazienza di raggiungere la maggiore età per compiere anche loro quel gesto così semplice, che così seriamente e diligentemente la sorella non mancava mai di fare.

Si consolidò in loro la consapevolezza che quello fosse un modo estremamente utile per gli altri e che ripagasse non di riconoscenza, non di denaro, ma della gioia di sentirsi necessario per qualcuno: “donare è un gesto ‘banale’ che non richiede grandi sforzi, non lo fai per un riconoscimento. Non sai chi riceverà il tuo sangue e perciò non ti aspetti alcun grazie. Lo fai e basta. Quello che però sai è che qualcuno ha bisogno del tuo sangue. Diventi qualcuno, sei necessario per un’altra persona.

E questo, già di per sé, è un riconoscimento.” Il loro appello, quando le abbiamo incontrate una mattina, durante uno dei loro consueti appuntamenti con il dono, è stato: “un piccolo gesto, anche una sola donazione in più, può cambiare le cose. Ognuno di noi può incidere sulla collettività con il suo piccolo contributo. Un gesto spontaneo, come la donazione, potrebbe diventare un anello fondamentale di un processo più grande“.

Fonte dell’articolo: www.avisemiliaromagna.it