Prima il desiderio di iniziare a donare, poi la diagnosi che sconvolge i progetti personali. Oggi Chiara, insegnante in provincia di Verona e sposata con Davide, donatore, porta la sua testimonianza ai giovani, spiegando perché compiere questo gesto abbia una duplice importanza

Sei all’ultimo anno di liceo. È il momento in cui hai deciso cosa farai “da grande”. Stai per iniziare un nuovo percorso formativo, in ambito accademico e personale. Nella tua mente e nel tuo animo c’è il desiderio di mordere la vita e di fare finalmente quello che ti piace. Anche in termini solidali, decidendo di compiere un gesto così prezioso per tante persone, senza immaginare che, di lì a poco, servirà anche a te.

La storia di Chiara Martinelli comincia da qui. Dal momento in cui sta per terminare le scuole superiori e si prepara a spiccare il volo verso l’università. Vuole diventare insegnante (obiettivo che centrerà) e, dopo aver conosciuto i volontari AVIS durante una giornata informativa, decide anche di diventare donatrice.

Però succede qualcosa: «Mi sono presentata al centro trasfusionale per gli esami del sangue di idoneità, ma dai risultati è emerso che avevo sia i globuli rossi che i bianchi bassissimi». Inizia un iter complicato tra medici e ospedali, fino al responso sul motivo di questi valori così anomali.

La diagnosi è quella che non ci si aspetta: leucemia linfoide acuta di tipo B. Si tratta di un raro tumore del sangue caratterizzato dall’anomala produzione, appunto, di linfociti di tipo B, un particolare tipo di globuli bianchi.

 

 

Il termine “acuta” indica la velocità di progressione della malattia, che in genere insorge e peggiora molto rapidamente: «Il contraccolpo è fortissimo – racconta – senti il mondo crollarti addosso perché a quell’età non pensi mai possa capitarti una cosa del genere. Ti domandi perché proprio a te, ma la risposta non esiste: pian piano acquisisci consapevolezza e capisci che non puoi fare nulla, se non affrontare il percorso che hai davanti».

 

Chiara viene ricoverata per molto tempo a Verona: nel reparto dell’ospedale Borgo Roma è la più giovane. Affronta cicli di chemio e radioterapia, ricevendo più volte trasfusioni sia di sangue che di plasma. Quel sangue e quel plasma che, per ironia della sorte, proprio lei voleva iniziare a donare per aiutare chi aveva più bisogno: «La mia riconoscenza verso i donatori non si può descrivere perché è proprio il caso di dire che, se non fosse stato per loro, oggi non sarei qui a parlare con voi.

Ovviamente il mio ringraziamento va anche a tutti i medici che mi hanno seguito nel corso degli anni. Oggi sono guarita e posso vivere una vita normalissima e piena di soddisfazioni». Una, grandissima, la maternità, frutto dell’amore con Davide, guarda un po’ il caso, anche lui donatore. Conosciuto nel 2019, si sono poi sposati lo scorso anno: «Credo che donare abbia un duplice significato – dice – Il primo è che si fa qualcosa di vitale per gli altri, e la mia storia di paziente lo dimostra, il secondo riguarda se stessi: essere donatori, infatti, vuol dire mantenere costantemente monitorata la propria salute, quindi perché non farlo? Io purtroppo non potrò mai per via di quello che ho avuto – conclude Chiara – ma cerco di fare quello che posso per essere lo stesso d’aiuto».

Da qui la volontà di partecipare a iniziative promosse dalle sedi Avis del territorio (lei è originaria di Soave, ma ora vive con il marito a Monteforte d’Alpone, sempre in provincia di Verona) e incontrare i giovani delle scuole per sensibilizzarli sull’importanza della donazione.

Quei giovani che, come lei qualche anno fa, possono fare la differenza. Per tutti. Anche per loro stessi.